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I programmi Gusto, Oxcart e Kingfish

I programmi Gusto, Oxcart e Kingfish Di John Milner Prove di riflessione radar sul Lockheed A-12 Cygnus (programma Oxcart). Nel corso degli anni ‘50 il governo degli Stati Uniti aveva tra le sue maggiori preoccupazioni l’esigenza di ottenere notizie precise e tempestive sull’avanzamento dei programmi nucleari militari sovietici.Per raggiungere questo risultato erano necessari sistemi di ricognizione senza precedenti ed un primo risultato in questo senso fu l’U-2.La CIA, infatti, ottenne il ricognitore stratosferico U-2 Angel che fu pronto per iniziare i suoi voli-spia nel 1956. Già nel 1957, però, pochi mesi dopo la prima missione operativa, i vertici della CIA (Central Intelligence Agency) ebbero consapevolezza che l’altissima quota operativa non sarebbe stata sufficiente a mettere l’U-2 al riparo dalla reazione della difesa aerea sovietica. Di conseguenza, nel 1957 Richard Bissell, consigliere di Allen Dulles, direttore dell’”Agenzia”, e responsabile dei programmi aeronautici, prese contatto con Kelly Johnson (direttore dei programmi avanzati della Lockheed, gli Skunk Works) per avere il suo parere. La risposta fu che ad una quota di crociera molto elevata si dovevano aggiungere una forte velocità e misure per la riduzione della traccia radar. La CIA preferì non affidarsi ad un’unica industria e coinvolse la Convair. Ad una commissione diretta dal Dr. Edwin Land Johnson presentò il suo Archangel del quale fu elaborata una decina di configurazioni, l’ultima delle quali era l’Archangel 12 o A-12. Da parte sua, anche la Convair aveva proposto delle soluzioni spettacolari, come il Super Hustler da Mach 4, ma il progetto definitivo Kingfish risultò, sia pure per un margine ridotto, inferiore all’aereo Lockheed. Il 3 settembre 1959 la ditta californiana fu autorizzata a procedere con lo sviluppo dell’A-12, nome in codice Oxcart, e ciò che aveva fatto la Convair finì nel dimenticatoio.Per dare un’idea dello straordinario progresso che tutti i progetti coinvolti nel programma che la CIA aveva chiamato Gusto (e che non era la parola nell’accezione italiana, ma l’uso che ne faceva l’inglese arcaico, con il significato di “ardore” o “entusiasmo” – NdA) comportavano, bisogna ricordare che all’epoca l’USAF stava mettendo in linea i primi aerei da caccia della Serie 100, per i quali una velocità nettamente supersonica in volo orizzontale rappresentava già una conquista ed il volo oltre Mach 3 al di sopra dei 24.000 m sembrava fantascienza pura.Per il programma Gusto con il Dr. Land furono chiamati a collaborare altri cinque “luminari” che tennero delle riunioni in sei occasioni tra il 1957 ed il 1959, in genere a Cambridge (Massachusetts), dove Land aveva il suo ufficio; tra i partecipanti vi erano, oltre al già citato Johnson, anche Vincent Dolson della General Dynamics (cui facevo capo la Convair) ed occasionalmente anche i vice-segretari dell’Air Force e della Navy.L’attività progettuale condotta a Fort Worth per lo sviluppo di un sostituto dell’U-2 concorrente dell’A-12 Cygnus (nome in codice Oxcart) fu intensissima e si innestò su una serie di studi, iniziati nel 1955, relativi ad un Super Hustler, cioè un’evoluzione del B-58 che prevedeva essenzialmente un aeroplano parassita, sganciato da un B-58B Hustler (una versione del bombardiere bisonico cancellata nel luglio 1959 e non effettivamente costruita – NdA) ed in grado di raggiungere una velocità massima non inferiore a Mach 4.Quando la CIA avviò il programma Gusto, ovviamente, la Convair si avvalse dell’esperienza conseguita nella progettazione del Super Hustler per ideare uno Special Purpose Super Hustler, in grado di volare in crociera a 4.250 km/h a 27.450 m (Mach 4) con un’autonomia di 8.325 km. L’idea fu sottoposta al Land Panel l’11 novembre 1958.Lo studio diede origine ad una Configuration 220, chiamata Fish (o FISH, per First Invisible Super Hornet), che subì svariate modifiche progettuali, prevedendo, però, sempre il B-58B quale aereo-madre. Proprio la soluzione del complesso “a due stadi” suscitava perplessità nella CIA. Così, mentre alla Lockheed fu richiesto di ridurre la traccia radar dei suoi progetti della famiglia Archangel, alla Convair fu domandato di progettare un aereo autonomo.La Convair rispose con un programma chiamato Kingfish (una specie di sgombro), il cui progetto iniziale era la Configuration ID-238 che, tuttavia, non rispondeva a due dei tre requisiti fondamentali: continuava, infatti, a fare ricorso ad un aereo vettore e prevedeva due statoreattori anziché i richiesti turbogetti. La Convair, allora, riprogettò completamente il Kingfish, dotandolo di due turboreattori Pratt & Whitney JT11 e creò una macchina in grado di decollare autonomamente e volare con un inviluppo simile a quello che sarebbe stato tipico dei Blackbird: fino a Mach 3,2 e a 25.925-26.750 m di altezza.Di una delle ultime configurazioni, probabilmente la ID-252-02, furono costruiti elementi strutturali ed una cellula incompleta per prove di riflessione radar. Le proposte finali Convair e Lockheed furono presentate il 20 agosto 1959 e, come sappiamo, il 29 agosto fu giudicato vincente il progetto Lockheed, con la riserva che la sua traccia radar si sarebbe dovuta ulteriormente ridurre. Nei mesi seguenti gli Skunk Works convinsero la CIA di esserci riusciti e l’11 febbraio 1960 ottennero un contratto per la produzione di dodici A-12 Archangel, poi ribattezzati Cygnus.Entro la fine di febbraio l’ufficio tecnico di Fort Worth portò a termine le ultime ricerche e, quindi, ottemperò alla richiesta della CIA di distruggere tutto quanto era stato realizzato fino a quel momento. Nonostante su quest’aspetto siano fiorite in seguito delle leggende, non sembra che fosse stata realmente iniziata la costruzione di un prototipo ed è documentata solo la costruzione di alcuni elementi per prove statiche e di riflessione radar.La CIA chiuse ufficialmente il programma Gusto all’inizio del 1960. Tuttavia, circa dieci mesi dopo, tornò alla carica unitamente al Pentagono per lo studio di un successore dell’A-12 (che, a sua volta, era un anticipatore dell’SR-71 Blackbird).Ne nacque, ancora una volta, un gran numero di progetti di massima, spesso fantascientifici, portati avanti da un gruppo di 15 ingegnere guidati da Randy Kant, nel quadro del programma di lavoro Work Order 540, iniziato nel novembre 1963. Gli studi furono sviluppati fino al giugno 1964 ed anche dopo la loro cancellazione rimasero a lungo segreti e di essi per vent’anni non si sentì più parlare.Tutti questi studi

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Spitfire sulla Cina

Spitfire sulla Cina Nella foto: Flt. Lt. Edward C. Powles Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’URSS avviò un programma di intenso riarmo allo scopo di diventare una potenza nucleare e la Repubblica Popolare Cinese divenne una sorta di suo satellite. Logico, quindi, che le potenze occidentali avessero sviluppato una preoccupazione maniacale nei riguardi del riarmo sovietico e cinese e facessero di tutto per esserne informate mediante violazioni dello spazio aereo protetto dalle Cortine di Ferro e di Bambù.Di questo genere di missioni da parte delle forze aeree degli Stati Uniti è stato scritto molto ma meno si sa di quanto hanno fatto altri paesi, anche se le forze aeree inglesi furono molto attive in questo senso.In Oriente, all’inizio degli anni ’50, vi erano due Spitfire della RAF, che il No. 81 (Photo Reconnaissance) Squadron di Seletar (Singapore) aveva distaccato ad Hong Kong sulla RAF “station” di Kai Tak; si trattava di due ricognitori tattici Spitfire PR Mk.XIX, con una fotocamera a lunga focale.Questi due ricognitori erano al comando del Flt. Lt. Edward C. Powles che aveva alle sue dipendenze il FS Padden ed i Sgt. Mutch, Hood e Walker. A partire dal 21 maggio 1951 questi Spitfire fecero più di 100 missioni sulla Cina continentale, volando a quote comprese tra 9.150 e 12.800 m, e sulle isole del Mar Cinese Meridionale. La prima missione fu compiuta da Powles sull’isola di Hainan, ma fu interrotta dall’approssimarsi di due caccia cinesi.Nei mesi successivi il tenente Powles compì altri nove di questi voli “ferrets” (furtivi, clandestini).Della sua undicesima missione, quella del 27 agosto 1951, lo stesso protagonista ha, negli anni successivi, pubblicato il resoconto. L’obiettivo era una missione fotografica sul porto di Haikou, sull’estremità di nord-est dell’isola di Hainan. Notoriamente, gli Spitfire non avevano le “gambe lunghe” e Hainan rappresentava il limite massimo del loro raggio d’azione. I rapporti meteorologici provenienti da navi nel Mar Cinese Meridionale indicavano che il cattivo tempo che imperversava sulla zona sarebbe durato fino alla fine del mese e, infatti, quella mattina si era presentata la prima “finestra” favorevole.La situazione dei venti oltre i 9.000 metri si era normalizzata e si erano formate numerose schiarite, così Powles poté andare in volo. Dopo il decollo fece quota fino a raggiungere 10.675 m e fece prua su Haikou; il suo piano di volo prevedeva l’avvistamento della costa dopo 24 minuti ed il raggiungimento dell’obiettivo dopo 62 minuti.Quasi immediatamente sperimentò della CAT (Clear Air Turbolence, turbolenza in aria limpida) che dopo circa 30 minuti dal decollo divenne più avvertibile. Dopo altri 20 minuti di volo non aveva ancora in vista la costa di Hainan, nonostante la visibilità fosse piuttosto buona. In quel momento si rese conto che stava volando con un forte vento contrario che non gli permise di avvistare l’isola per altri 17 minuti. Arrivato 55 km a Sud di Haikou variò la prua e scese a 9.150 m, quota alla quale la turbolenza era molto minore.Dopo aver effettuato le sue “photo-runs” (i passaggi con la fotocamera in funzione) fece rotta per Singapore. Il vento contrario gli aveva fatto consumare molto più carburante del previsto ma non si preoccupò, in quanto sulla rotta di rientro lo avrebbe avuto in coda. Stava già volando da 20 minuti verso Kai Tak quando la turbolenza che lo aveva infastidito fino a quel momento cessò di colpo ma il carburante cominciava veramente a scarseggiare.Lontano, sulla Cina, si vedevano grossi cumuli minacciosi e Powles aveva meno di 230 litri di benzina nei serbatoi e 370 km da percorrere sebbene un vento in coda di 30 nodi (56 km/h) e l’altissima quota lo avrebbero aiutato non poco. A circa 185 km da Hong Kong chiese all’Approach Control l’autorizzazione ad effettuare un atterraggio diretto, con precedenza, e gli permesso di modificare la sua rotta per abbreviare il percorso.L’indicatore del carburante segnava Empty (vuoto) ma aveva abbastanza velocità e quota da raggiungere la pista. Abbassò carrello e flap e proprio in quel momento il motore si arrestò definitivamente; la velocità, comunque, era stata e Powles compì un atterraggio perfetto, dopo 3 ore e 15 minuti di volo.Durante la sua attività Powles compì anche un secondo atterraggio a motore spento per esaurimento del carburante. Alla fine del 1951 aveva totalizzato 63 missioni di questo genere, compresa quella del 6 novembre sulle Isole Paracel. I caccia dell’AFPLA cercarono più volte di intercettare gli Spitfire ma non vi riuscirono mai. Il Detachment cessò l’attività nel 1952 e gli Spitfire PR Mk.XIX furono radiati, dopo un’ultima missione sulla Malesia l’1 aprile 1954.

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LE PRIME DONNE IN MONGOLFIERA

LE PRIME DONNE IN MONGOLFIERA Nella figura: ritratto del 1811 di Sophie Blanchard, che divenne aerostiera professionista. Le prime donne a sollevarsi da terra furono quattro nobili francesi nel 1784 – tutte donne di corte del Re Luigi XVI – usufruendo, per lo scopo da ottenere, del loro rango ed anche del loro fascino.Le coraggiose candidate al volo erano la marchesa di Montalambert e la contessa di Montalambert, la contessa di Podenas e Mademoiselle de Lagarde che convinsero Jean François Pilâtre de Rozier, che era stato il primo uomo a volare in pallone, a portarle in volo. Rozier, in seguito, sperimenterà una combinazione letale di aria calda e idrogeno con risultato negativo, ottenendo il non desiderato primato di prima vittima d’incidente aereo, il 16 giugno 1785.L’affascinante aristocratico il 15 ottobre 1783 intraprese il primo volo della storia in mongolfiera; salì fino all’altezza di 26 metri su un pallone vincolato a terra da funi e rimase in aria, alimentando il fornello della mongolfiera, per poco più di quattro minuti.Il re di Francia Luigi XVI, aveva pensato di far sperimentare il primo volo in mongolfiera a due condannati a morte, ai quali avrebbe concesso la grazia in caso di riuscita, ma Rozier si oppose e si offrì quale collaudatore.Jean François Pilâtre de Rozier come suo primo passeggero ebbe il marchese d’Arlandes con il quale, il 21 novembre 1783, compì un volo su Parigi di 20 minuti.Il 20 maggio 1784 ci fu l’ascensione del nobile con le quattro donne, presentatesi all’appuntamento imparruccate ed incipriate, pronte ad intraprendere quella nuova esperienza con tutta la loro femminilità. L’emozione che provarono non fu quella sperata in quanto la mongolfiera, dopo essersi alzata di pochi metri, si accasciò per terra con la navicella adornata dai nastri e dalle parrucche dell’equipaggio femminile in lacrime. Nonostante l’epilogo del volo, però, le signore avevano avuto il loro momento di gloria, divennero celebri e ricevettero omaggi floreali per il coraggio che avevano dimostrato. Pilâtre de Rozier, da parte sua, affermò che comunque il gentil sesso non aveva certo bisogno di questo nuovo mezzo per dimostrare quanto potesse essere interessante… Questa affermazione galante poteva anche far intendere che il volo doveva essere caccia riservata ad un’utenza maschile e le signore, quindi, avrebbero dovuto ritornare alle loro più tradizionali occupazioni!Da questo episodio non passò molto tempo che un’altra donna volle provare il volo in mongolfiera, forse solo per avere nuove emozioni: Elisabeth Thible, una lionese sposata dall’età di 12 anni con un ricco barone. Un suo amico, un tal Fleurant, pittore squattrinato, era stato finanziato dal conte Laurencin per costruire una mongolfiera. Elisabeth, donna molto bella, seppe convincere il conte a cederle il posto al momento di salire con Fleurant. Il decollo fu un po’ movimentato, la mongolfiera s’innalzò ondeggiando fra una folla di spettatori tra i quali vi era anche re Gustavo di Svezia, padrino della bella Elisabeth che, trovandosi in Francia, era venuto ad assistere all’avvenimento.Il cielo era sereno, ma per un’imprevista raffica di vento il pallone si abbatté a terra. Elisabeth e Fleurant, delusi e spaventati, uscirono dall’incidente quasi del tutto illesi. La folla, testimone di questa impresa non riuscita, si entusiasmò ugualmente e portò in trionfo i due aeronauti al lume di torce, mentre gli spettatori ai bordi della strada si affannavano a strappare loro bottoni, fibbie di scarpe ed altri “souvenirs”, gratificando il loro coraggio e contribuendo a creare la loro fama.In quel momento per la folla gli aerostieri erano degli eroi e lo sarebbero stati indipendentemente dalla loro nobiltà, dagli abiti e dalle costose parrucche che indossavano.

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La Battaglia di Los Angeles

La Battaglia di Los Angeles Nella foto: Il porto di Los Angeles nelle prime ore del 25 febbraio 1942. Quella che va nota come Battaglia di Los Angeles, fu un incidente che avvenne quando il Giappone aveva da poco attaccato le basi americane alle Hawaii e nelle Filippine. Lo stato di ansia per la possibilità che il nemico potesse arrivare a colpire il territorio degli Stati Uniti era palpabile.i Signori della Guerra giapponesi avevano attaccato la Cina e meno di un anno dopo la Germania di Hitler invase la Polonia. Ce n’era a sufficienza per costruire nell’immaginario collettivo la figura dello straniero cattivo pronto ad attaccare il continente americano. La psicosi dell’invasione, quindi, si diffuse e fu più tangibile sulla costa occidentale, più vicina al Giappone.Durante la Seconda Guerra Mondiale il territorio nordamericano non fu teatro di combattimenti, se si fa eccezione per la Campagna delle Aleutine, l’arcipelago che si protende dall’Alaska verso la penisola della Kamciatka, e pochissime sporadiche ed isolate missioni compiute dalla marina Imperiale Nipponica. Tuttavia, l’enorme impressione suscitata dall’improvviso attacco alle Hawaii del 7 dicembre 1941, fece nascere la psicosi di un’imminente azione delle forze aeree giapponesi contro le metropoli della California.In questo contesto si deve inserire uno dei più incredibili episodi della Seconda Guerra Mondiale, la cosiddetta Battaglia di Los Angeles o Great Los Angeles Air Raid, scatenata nel cielo della città nelle primissime ore del 25 febbraio 1942, quando il personale di almeno due stazioni radar credette di aver avvistato aerei giapponesi.Solo due giorni prima, il 23, il sommergibile nipponico I-17 era emerso ed aveva sparato 16 colpi di cannone in direzione di un impianto petrolifero 15-20 km a ovest di Santa Barbara. Il 24 febbraio, alle 19.18, si era sentito il suono delle sirene dell’allarme aereo. Il giorno 25, alle 2.15 (in piena notte), le stazioni radar agganciarono un numero imprecisato di tracce (si disse da una a cinque) in avvicinamento dal mare. Le batterie contraeree del 65th Coast Artillery (Anti-Aircraft) Regiment di Inglewood e del 205th Rgt. di Santa Monica (37th Coast Artillery Brigade), la più importante delle quali era a Ft. MacArthur, entrarono in azione, sparando alla cieca 1.430 colpi da 76 mm, dirigendo il fuoco sui punti dove i fasci dei proiettori convergevano, probabilmente mentre inseguivano i traccianti sparati dalle loro stesse batterie (come lasciano supporre le fotografie scattate dai reporters).Il “The Times” scrisse il giorno dopo: “Alle 5 la polizia ha riferito che un aeroplano è stato abbattuto presso la 185th Street e la Vermont Avenue. I particolari non sono disponibili…”. In questo presunto “attacco aereo” morirono cinque civili: tre (uno dei quali era un agente di polizia) in incidenti d’auto e due di attacco cardiaco, mentre del presunto aereo abbattuto non si è trovato alcun riscontro; due persone furono ferite da schegge dei proiettili esplosi. Eppure, dove i fasci dei proiettori si intersecavano, ci fu chi si disse certo di aver visto qualcosa. Inoltre, la stampa quotidiana scrisse che in aria vi era un aeroplano, descritto come “un piccolo aereo” senza indicazioni sulla sua appartenenza ad un ente privato o militare che poi sarebbe precipitato. Questi aspetti, però, non hanno trovato alcun riscontro.La reale causa scatenante della Battaglia di Los Angeles rimane ancora oggi sconosciuta. I giapponesi negano che i loro aeroplani abbiano mai volato su Los Angeles ma neppure le registrazioni ufficiali americane dell’epoca sono illuminanti. Alcuni residenti dichiararono in seguito di aver visto luci di aeroplani ma le autorità militari hanno attribuito tutto ciò alla psicosi del momento e ad un pallone meteorologico illuminato dai fari. Certo è che dall’aria non fu sganciata alcuna bomba e non fu sparato nessun colpo.L’USAF, nel dopoguerra, incluse anche quest’episodio tra quelli da indagare e in un’analisi del 1983 stabilì che alle 3 del mattino da una postazione della Missouri National Guard a difesa dello stabilimento Douglas di Santa Monica, fu lanciato un piccolo pallone meteorologico per misurare la velocità del vento (era il secondo, perché ne era già stato rilasciato uno poco meno di due ore prima). Questi palloni furono avvistati e la Coastal Artillery aprì il fuoco in direzione di essi. Quando il col. Roy Watson, comandante del 203rd Regiment, ordinò il cessate il fuoco, i comandanti delle singole postazioni non ne tennero conto e i cannoni continuarono a sparare.

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Il primo MiG-21 del Col. Titus

Il primo MiG-21 del Col. Titus Nella foto: il ten. col. Titus davanti al suo F-4C. Durante le prime fasi della Guerra in Vietnam, i piloti americani ebbero l’amara sorpresa di incontrare degli avversari agguerriti e preparati as ottenere le migliori prestazioni dai loro superati MiG-17. Durante il combattimento ravvicinato e su distanze alle quali i missili aria-aria erano inefficaci e si combatteva con i cannoni, le caratteristiche più importanti erano maneggevolezza, robustezza strutturale, tutte doti che al MiG-17 non difettavano.Le cose migliorarono notevolmente per i piloti “yankee” man mano che si rendevano disponibili caccia dotati di missili aria-aria più efficaci e gli equipaggi ebbero seguito corsi da aggiornamenti specifici. A questo salto di qualità da parte americana, i nordvietnamiti risposero potenziando ulteriormente l’addestramento, che avveniva in Cina ed in Unione Sovietica, e introducendo in servizio il MiG-21, un caccia giudicato tra le migliori realizzazioni dell’industria sovietica.Tra i primi scontri tra F-4C e MiG-21 vi è stato quello del 20 maggio 1967 che ha visto come protagonisti il Lt. Col. Robert F. Titus ed il suo addetto ai sistemi d’arma Lt. Milan Zimer (che chiameremo, all’uso italiano, “navigatore”) del 389th Tactical Fighters Squadron, parte del 366th Tactical Fighter Wing dell’US Air Force. Titus, con un F-4C Phantom II, faceva parte della seconda pattuglia che forniva la scorta alla retroguardia di una formazione di caccia-bombardieri Republic F-105. Gli aerei volavano verso un massiccio roccioso, poco più di 30 km a nord di Hanoi. Il volo si stava svolgendo tranquillamente, per quanto quest’avverbio possa adattarsi ad una missione di guerra, quando l’equipaggio sentì negli auricolari del casco qualcuno che da un altro aereo gridava: “MiG!”. Titus chiese : “MiG? Dove? Chi li ha visti?” Infatti, nel combattimento aereo la cosa più importante è parlare poco ma, se lo si deve fare, identificarsi chiaramente in modo che ogni pilota possa sapere quale compagno sta parlando e, di conseguenza, da che parte guardare. Nuovamente la radio trasmise il grido “MiG!” e Robert ripeté: “Dove?” E questa volta ottenne risposta: “Proprio sotto la Buckshot Flight… Stanno andando a sinistra!”.Pilota e navigatore guardarono a sinistra e videro due dei nuovi MiG-21 che puntavano sugli F-105 per attaccarli. Anche i loro piloti videro gli F-4 e ritennero di trovarsi in buona posizione. Con una reazione istintiva, Titus puntò il suo aeroplano verso gli assalitori e avvisò: “Sono agganciato!”Per ottenere una pronta risposta dal pesante Phantom, Titus accese i postbruciatori mentre il comandante della missione, Maj. Bob Janca, prese atto avvertendo: “Honeymoon (luna di miele, nel significato di OK, affermativo). So che state attaccando e vi coprirò le spalle”. A questo punto pilota e navigatore cominciarono a lavorare insieme per scegliere uno dei due bersagli e selezionarlo sul radar.Il MiG che avevano deciso di attaccare non era più visibile ad occhio nudo ma sullo schermo del radar si vedeva la sua traccia che andava verso sinistra, per cui il pilota puntò con decisione in quella direzione e la traccia tornò al centro dello schermo. Tuttavia l’accoppiata tra radar e missili all’epoca aveva un funzionamento meno affidabile rispetto ad oggi e Zimer avvisò il suo pilota che la traccia era sparita ed il suo radar aveva perso l’aggancio. In effetti, il MiG-21 stava manovrando freneticamente ed era in regime supersonico ad una quota di poco meno di 5.000 metri.Guardando dalla parte giusta, Titus vide nuovamente il MiG-21 e puntò a vista su di esso, avvicinandosi rapidamente; il collimatore gli indicava che il caccia nemico sarebbe stato in breve tempo entro il raggio d’azione dei suoi missili AIM-9B Sidewinder. Il pilota del caccia americano aveva già il dito sul grilletto quando nella radio sentì gridare: “Apri! Three, io sono Four: apri tutto a sinistra!” proprio mentre il navigatore gridava a sua volta: “Spara, spara! Lo abbiamo a tiro!”. Ma Titus messo in allarme da Four, che era Stu Bowen, suo gregario destro nella formazione, preferì seguire il consiglio e virare tutto a sinistra. Naturalmente il Phantom ed il MiG si allontanarono uno dall’altro ed il contatto si interruppe.Non rimaneva altro che raggiungere la formazione e Titus riprese ad avvicinarsi agli F-105 ma, dopo pochi secondi, apparve un altro MiG. Naturalmente il pilota americano decise di non perdere questa seconda occasione e portò il cursore del radar sulla traccia dell’aereo avversario mentre il navigatore gli confermava l’avvenuto aggancio. Ciò significava che il sensore infrarosso dei Sidewinder stava “guardando” nella direzione giusta.Nonostante la quota relativamente bassa, attorno ai 3.000 metri, il Phantom accelerò fino a Mach 1,2 e continuando a virare a sinistra per mantenere il bersaglio di fronte a sé, l’equipaggio non perse tempo a lanciare il primo missile. Nonostante il casco ed il tettuccio, all’interno degli abitacoli si sentì il sibilo del razzo ma non successe nulla: il missile non aveva realmente agganciato il bersaglio e si era perso. Il navigatore ebbe l’impressione di aver sbagliato qualcosa e incitò il pilota a sparare subito un secondo colpo. Questa volta tutto andò come previsto e i due aviatori americani videro la scia bianca che si dirigeva verso il MiG-21. Benché la quota fosse relativamente bassa, tra i 1.800 e i 2.500 metri, e il caccia nordvietnamita avesse come sfondo le montagne, il missile lo centrò in pieno, alla radice dell’ala sinistra che si staccò di netto dalla fusoliera mentre l’aereo cominciava a cadere disordinatamente verso il suolo. Il pilota fece in tempo a lanciarsi e Titus e Zimer lo videro scendere appeso alla grande calotta bianco e arancio del paracadute.Il caso volle che già due giorni dopo, il 22 maggio, incontrassero altri MiG, riuscendo ad abbatterne due.

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“Ho abbattuto un nostro B-52!”

“Ho abbattuto un nostro B-52!” Nella foto: il B-52 che fu abbattuto da “fuoco amico”. “Ho abbattuto un nostro B-52!” Questo pensiero agghiacciante si formò nella mente del 1st Lt. James Van Scyoc quando vide la scia di fumo di un missile Sidewinder che, dopo aver lasciato l’ala sinistra del suo F-100, si infilava nello scarico di una delle coppie di reattori di uno Stratofortress. “Guarda! — gridò alla radio Van Scyoc, sulla frequenza per le comunicazioni con il gregario Capt. Dale Dodd — Uno dei miei missili è partito!”.Quest’episodio di fuoco amico in tempo di pace avvenne il 7 aprile 1961.Tutto avvenne nel cielo sopra Albuquerque, nel New Mexico, nel corso di un’esercitazione di routine del tipo che avveniva con frequenza durante il periodo della Guerra Fredda. Allora gli aerei che rappresentavano gli “azzurri” erano dotati di munizionamento reale e fu questa circostanza a rendere possibile l’incidente.Il “partito rosso” era rappresentato da un Boeing Stratofortress che doveva svolgere il ruolo di “attaccante non identificato”, in pratica impersonando la parte di un Tupolev Tu-95 della Dalnaya Aviatsiya, il comando sovietico dell’aviazione strategica. L’aereo, era un B-52B del 95th Bombardment Wing, con sede sulla Biggs Air Force Base di El Paso (Texas). Il 7 aprile 1961 incaricati di intercettare il bombardiere erano due caccia F-100A del 150th Fighter Interceptor Group della New Mexico Air National Guard, di base sulla Kirtland AFB di Albuquerque; i caccia erano armati ognuno con 800 colpi da 20 mm e due missili aria-aria Sidewinder. Contro il pericolo di fuoco accidentale vi era una “sicura” costituita da un interruttore e da un circuito elettrico che, in posizione “safe”, inibiva i comandi di sparo.Il bombardiere, date le esigenze addestrative della missione, aveva un equipaggio più numeroso del normale, costituito da sei ufficiali e due sottufficiali, i Capt. Don Blodgett (comandante e primo pilota), Capt. Ray Obel (secondo pilota), Capt. Steve Carter (navigatore), Capt. Pete Gineris (navigatore), Capt. George Jackson (istruttore di guerra elettronica), 2nd Lt. Glenn Bair, addetto alla guerra elettronica, S. Sgt. Manuel Mieras (capo-meccanico) e lo S. Sgt. Ray Singleton (mitragliere).A tentare l’intercettazione sotto la guida della stazione radar di West Mesa (New Mexico) doveva essere una sezione di due F-100A, guidata dal 1st Lt. Van Scyoc e con il Capt. Dale Dodd quale gregario. Van Scyoc, che militava nell’Air National Guard da sei anni, era un pilota esperto, che aveva prestato servizio in Corea del Sud, in Germania e in Giappone.I due Super Sabre, seguendo i vettori forniti dalla guida-caccia, raggiunsero il bersaglio 18 minuti dopo il decollo. Sia Van Scyoc sia Dodd controllarono ancora una volta che l’interruttore generale del fuoco fosse in posizione sicura e poi iniziarono i previsti passaggi che, se il B-52 fosse stato effettivamente un Tupolev, ne avrebbero decretato la distruzione.Il primo passaggio doveva avvenire dal settore posteriore e prevedeva l’attacco mediante un missile Sidewinder: quando i piloti sentivano in cuffia il cicalino che dava la conferma dell’avvenuto aggancio, il bersaglio si considerava distrutto.L’arrivo dei Super Sabre era atteso dall’equipaggio del bombardiere e, infatti, Blodgett aveva chiamato il mitragliere, l’unico che si trovava isolato, nella sua postazione di coda: “Mitragliere, parla il comandante…”Comandante, qui è il mitragliere. Avanti…”. “Ray, gli aerei della Guardia svolgeranno alcuni passaggi contro di noi tra breve. Stai allerta…” “Ricevuto, signore”. Mentre i caccia effettuavano i loro passaggi, Singleton cercava di mantenerli in punteria con le sue quattro mitragliatrici da 12,7 mm, ma non si trattava di un’impresa facile.Van Scyoc, dopo aver dato un’occhiata agli indicatori del livello del combustibile avvertì il gregario: “Okay Wingman… Ancora un passaggio e poi andremo a casa” “Affermativo Leader, ancora un passaggio, dopo di te”.Mentre Van Scyoc puntava sul bombardiere, avvertì uno scossone e vide il Sidewinder partire: “Guarda! Uno dei miei missili è partito!”Blodgett e Obel, ai comandi del B-52, sentirono il messaggio ma in quell’istante un’esplosione, con una fiammata arancione, portò via buona parte dell’ala sinistra. I comandi non rispondevano più e la “Fortezza” colpita cominciò ad avvitarsi per poi scendere quasi verticalmente.Blodgett si eiettò e anche Singleton abbandonò l’aereo. Nel prendere terra, Blodgett si fratturò il bacino ma, per fortuna, Singleton arrivò a poca distanza e riuscì a raggiungerlo, prestandogli una prima assistenza. Le condizioni meteorologiche erano pessime e i due aviatori dovettero attendere cinque ore prima di essere recuperati. Mentre l’elicottero stava per rientrare fu avvistato a terra un altro paracadute e così fu recuperato anche il Capt. Jackson, ferito gravemente.Tutta l’operazione di recupero divenne complessa e pericolosa quando la regione fu investita da una terribile tempesta di neve. Quando le condizioni atmosferiche migliorarono, come per miracolo l’equipaggio di un elicottero H-21, a 38 ore dall’incidente, trovò il Sgt. Mieras, con una gamba rotta ma in condizioni abbastanza buone! Al momento dell’incidente si trovava dietro il seggiolino del secondo pilota e, senza capire neppure cosa fosse successo, quando vide che ai comandi non c’era più nessuno, abbandonò l’aereo attraverso il portello d’emergenza superiore destro.Tutto il dispositivo di soccorso continuò le ricognizioni per localizzare i corpi ancora mancanti e l’equipaggio di un C-47 avvistò quelli che sembravano essere lampi di luce prodotti da uno specchio. Si trattava del Capt. Obel che, sia pure gravemente ferito, era miracolosamente ancora vivo, il terzo giorno dall’incidente.L’inchiesta dimostrò che non vi erano responsabilità del personale e il lancio accidentale del missile era dovuto ad un cortocircuito spontaneo nei cablaggi all’interno dell’ala dell’F-100. L’USAF, comunque, da quel momento limitò l’uso del munizionamento reale.

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ASSO IN UNA SORTITA !

ASSO IN UNA SORTITA ! Di John Milner Lo scenario e’ la controffensiva delle Ardenne, al suo massimo svolgimento. Li’ appare un giovane pilota canadese restato due anni nelle retrovie come istruttore e come trainatore di bersagli, Dick Audet, un Asso-meteora ! Uno di quelli che vorresti non morissero mai. Assegnato nell’autunno 1944 al No.411 Squadron della RCAF, che monta gli Spitfire IX, diventa caposquadriglia iniziando una serie di intense missioni ma restando nell’ombra. Fino al 29 dicembre, quando viene il suo giorno. La Luftwaffe sta compiendo uno sforzo colossale, non solo per contrastare la soverchiante potenza aerea alleata, ma per proteggere i decolli dalla pista di Rheine dei nuovi jet Me 262, su cui tanto ha puntato, anche se nel modo sbagliato, impiegandoli anche in quella circostanza non per riconquistare la supremazia dell’aria, ma per attaccare obiettivi a terra. Decollato col suo reparto dalla base olandese di Heesh, Audet quella mattina inizia con l’avvistare una formazione di caccia tedeschi, quattro Me 109G e otto temibilissimi Fw 190D muso lungo, che procedono in linea di fila. Audet decide di puntare sull’ultimo aereo della fila, un 109, aprendo il fuoco da 200 metri. Lo abbatte immediatamente e inizia a circuitare finche’ non gli appare a tiro uno dei Fw 190D, che inquadra dopo una picchiata di 100 metri con un angolo di 30 gradi. Audet può osservare i suoi colpi andare a segno sulla fusoliera del “ muso lungo”, che prende fuoco, mentre il pilota e’ già colpito e Audet può notarlo riverso sui comandi. A quel punto gli si presenta una scena strana, un 109 picchia su di lui, poi cabra violentemente e gli si stacca il tettuccio . Da quasi 300 metri Audet gli tira una breve raffica, il pilota tedesco si lancia, ma il paracadute va in brandelli e l’aereo si disintegra a terra. .Le scene tragiche e incredibili non sono pero’ cessate. Un 190D dirige su di lui, inseguito da uno Spitfire che a sua volta e’ seguito da un altro 190 ! Audet urla alla radio al compagno di lasciare l’azione e dirige dritto sul 190D inseguitore abbattendolo. Poi cerca di riorganizzare la mente e la situazione, quando spunta da circa mezzo km un altro 190 che lo punta inesorabilmente ! Inizia così una sarabanda di virate e contro virate, rallentamenti e accelerazioni, finché Audet colpisce l’aereo tedesco, che senza fumo o segni di essere stato colpito, precipita. L’inferno finisce di colpo : Audet ha abbattuto 5 caccia in pochi minuti! E che caccia! Gli verrà assegnata per questa azione la Distinguished Flying Cross. E’ stata una coincidenza? No ! Perché in gennaio ripete i successi abbattendo altri 5 caccia tra cui il temutissimo Me 262 !Ma altri due jet li distrugge al suolo con il passaggio sulla pista di Munster. Due mesi dopo, un semplice proiettile della contraerea ferma la meteora Audet.

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PESANTE PEDAGGIO USA SUL PONTE DI LANG MET

PESANTE PEDAGGIO USA SUL PONTE DI LANG MET Di John Milner Fine del 1965, la politica di escalation militare americana nel Vietnam e’ nel pieno del suo svolgimento. Un impulso fortissimo che richiede un impiego dell’ aviazione senza precedenti dalla seconda guerra mondiale. Gli obiettivi sono tanti, specie nel Nord Vietnam, tutti importanti e per questo ben protetti dalla contraerea tradizionale, dai SAM e dalla caccia nord vietnamita, che con i suoi maneggevoli MiG- 17 riesce a contrastare piuttosto bene i pesanti caccia-bombardieri americani come i Phantom e i Thunderchief .Sono proprio gli F-105 del 562* Gruppo della 23a Tactical Fighter Wing con base a Takhly in Thailandia ad avere assegnato il compito di attaccare il ponte di Lang Met sul fiume Rong, 80 km ad est di Hanoi, punto vitale da cui passano i rifornimenti cinesi. La mattina del 5 ottobre caccia dell’US Navy compiono un’azione diversiva a nord dell’obiettivo mentre gli F-105 decollano per poi dispiegarsi in una formazione di quattro squadriglie di sei aerei ciascuna, dirigendo verso il punto d’incontro con le cisterne KC-135 che li riforniranno per l’intera missione. Il carico di caduta e’ rappresentato da due bombe da 1.350 kg per ogni aereo, trasportate ai piloni alari, mentre sotto la fusoliera e’ applicato un serbatoio supplementare da 2.460 litri.La formazione passa ad ovest di Dien Bien Phu per poi dirigersi verso il Fiume Rosso , dove già inizia il fuoco contraereo . A quel punto si abbassa a 1.000 metri di quota per essere meno rilevabile dai radar e poi per dirigere sull’obiettivo. Ogni pilota tiene gli occhi ben fissi sul numero uno della formazione, compiendo le sue stesse manovre e seguendo le sue istruzioni per evitare gli ostacoli che appaiono rapidamente sotto di lui . Inizia l’attacco, ma e’ accaduto che le prime formazioni, per la scarsa visibilità causata dal fumo della contraerea che sta iniziando a scatenarsi, non abbiano individuato il ponte, e devono tornare indietro. Presto arrivano anche i missili, ed e’ l’inferno.I carichi cominciano ad essere sganciati e qualche F-105 passa attraverso le esplosioni causate dai compagni. L’obiettivo rimane colpito però nessuno dei piloti si rende conto di chi viene colpito. Chi ne e’ uscito, seppur abbondantemente sforacchiato dai proiettili, si precipita in una rotta salvifica verso il mare e apprende dalla radio dei compagni colpiti che hanno dovuto lanciarsi in territorio nemico. Tra il sovrapporsi delle chiamate viene ascoltato anche il disperato appello di un pathfinder EB-66, colpito dai MiG, ma l’autonomia e’ alla fine e nessuno puo’ intervenire. Solo 8 dei 24 F-105 rientrano alla base, gli altri sono stati abbattuti sull’obiettivo o, colpiti, si sono dispersi in cerca di atterrare in qualche aeroporto sud vietnamita . Un’arteria nord vietnamita e’ stata interrotta con la distruzione dell’obiettivo, ma a un prezzo esorbitante, quello che gli F-105 Thunderchief e i suoi piloti pagheranno sino a fine conflitto.

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FORTEZZE E LEGGENDE

FORTEZZE E LEGGENDE Di John Milner Mentre sui piloti, attraverso oltre un secolo dai fratelli Wright, sono nate cento e più leggende, e’ più raro che gli aerei stessi siano diventati oggetto di fantasie e leggende. Fa eccezione una categoria di macchine che e’ entrata a far parte del mito e di storie fantastiche per le sue intrinseche caratteristiche, estetiche e storiche, la FORTEZZA. Le fortezze furono del tutto appannaggio degli americani, anche se gli inglesi avevano realizzato macchine che avevano lo stesso esatto compito e le stesse caratteristiche tecniche. Probabilmente colpi’ la fantasia del pubblico il nome stesso con cui gli americani fecero esordire il B-17 : Flying Fortress ! Fortezza volante. Dava l’idea di qualcosa di potentissimo e imbattibile nella mente della gente, fama che purtroppo si consolidò dopo che le popolazioni dovettero subire le loro migliaia di incursioni di bombardamento quasi per l’intero corso della querra mondiale. Eppure la Fortezza Volante, specie il B-17, era per i giovani equipaggi americani, anche un simbolo di sicurezza, e non era poco per dei ragazzi mediamente sui 20/22 anni, che nelle fredde mattine inglesi si imbarcavano su quegli aerei quasi certi di non tornare. Il B-17 era stato realizzato estremamente compatto e robusta, irto di postazioni armate che nei comics lo facevano apparire come un temibilissimo istrice, inavvicinabile, potente. E se sappiamo che ne furono in realtà falcidiati a centinaia dalla contraerea e dalla caccia dell’Asse, rimanevano per i piloti “ gli aerei che ti riportano sempre a casa” : quello che vediamo nelle immagini reali tornare alla base senza l’intero muso; quello con uno dei quattro motori penzolante o addirittura mancante; quello col grande piano di coda “ segato “ dalle mitragliere dei caccia tedeschi, o addirittura quello sventrato, ormai quasi tagliato in due, ma ripreso ancora in volo verso casa.Poi c’ è stato il B-29 Superfortress, ma sempre Fortezza, anche se tra il pubblico profano si tende a confonderli nonostante le ben più grandi dimensioni di questo aereo, non amato, in quanto un vero Angelo della Morte, che riversava sulla case di legno e carta dei civili giapponesi miriadi di spezzoni incendiari, a pioggia, che incenerivano gli esseri umani. Per concludere poi col bollo di infamia, non piccola, di essere stato l’areo lanciatore delle bombe atomiche. Meno enfasi ebbero i successori, il gigantesco ma oscuro B-36, Il B-52 , considerato altro angelo della morte per i bombardamenti a tappeto sul Vietnam e sull’Iraq di Saddam, colpevole di possedere “ armi di distruzioni di massa” riducibili, come sappiamo, a…..fialette d’acqua!! In ogni caso, poteva essere solo questo tipo di aerei ad accendere fantasie e leggende. Una nasce nel 2001 e appare su blog russi, ripresi subito dalla stampa occidentale, probabilmente dalla penna di chi era stato impressionato dal film ” The Final Countdown ” ( in Italia Countdown Dimensione zero) del 1980. Viene riportato che alla base americana di Thule in Groenlandia erano entrati in contatto radio e radar con un misterioso King Bird Five Zero aerocisterna, che improvvisamente aveva interrotto le comunicazioni. Era stata organizzata subito una missione di soccorso che aveva localizzato, a pochi km dall’aeroporto, un B-29 integro dopo un atterraggio di fortuna sul ghiaccio. A bordo vi erano i cadaveri dell’equipaggio, e dalle indagini si giunse a sapere che l’aereo era decollato dalla McGuire AFB ( New Jersey) il 22 dicembre 1948…! Un volo lungo 53 anni che dimostra quanto le Fortezze potessero essere oggetto di favole ancora più che leggende. Come quella che vuole che, presso la bellissima collezione di vintage al Castle Air Museum della Castle AFB in California, sul B-29A Raz’n Hell in certe notti qualcuno accenda tutte le luci e si odano rumori di meccanici al lavoro! Ma dai fantasmi delle fantasie ai misteri veri e propri il passo e’ breve. Come quello del Tyler 51, un KB-50 -la versione,tanker, successiva al B-29- decollato il 2 gennaio 1962 da Langley ( Virginia) e diretto alle Azzorre dove non giunse mai. Si ritenne scomparso dopo gli ultimi segnali provenienti dai cieli del triangolo delle Bermude e nella sua ricerca furono impiegate ben 1.369 ore di volo da parte dell’USAF , 49 dall’US Navy e 236 dalla Coast Guard. La commissione di inchiesta non giunse a nulla, se non a constatare la scomparsa dell’aereo. E le leggende sulle Fortezze non finiscono qui ! https://www.youtube.com/watch?v=ruSr_OQdGMw

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LEDUC 022 – Un ” aereo X ” francese, mancato intercettore, dalla formula inconsueta

LEDUC 022 – Un ” aereo X ” francese, mancato intercettore, dalla formula inconsueta Di John Milner Gia’ prima del secondo conflitto mondiale, il progettista aeronautico francese Rene’ Leduc aveva portato avanti i suoi studi sugli statoreattori, progettando e riuscendo a far volare un paio di aerei sperimentali, il Leduc 010 e lo 021, che dovevano portare nel dopoguerra al progetto dello 022, un intercettore supersonico a corto raggio dotato di armamento missilistico .Il velivolo era tutto fuorché un aereo convenzionale. Con ala a freccia di 30 gradi, presentava una fusoliera tubolare nella cui parte anteriore si inseriva un muso sottile di plexiglas dove alloggiava il pilota, e che era in effetti una capsula di salvataggio, dietro alla quale alloggiavano i paracadute. Tra la fusoliera, monoguscio, e la sottile sezione del muso si trovavano le sei prese d’aria dello statoreattore che in pratica circondavano la capsula anteriore, e che convogliavano l’aria nella fusoliera stessa, realizzata a doppia parete. Lo statoreattore, che avrebbe dovuto far raggiungere al velivolo la quota di 25.000 metri in sette minuti, forniva una spinta di circa 13.800 kg e veniva acceso quando entrava in funzione il turbogetto Turbomeca Artouste situato al centro della fusoliera, sostituito poi dal più potente SNECMA Atar 101. Ad esso il carburante giungeva in parte da serbatoi in fusoliera, in parte dai capaci serbatoi alari e dai due piccoli serbatoi alle estremità alari. L’armamento consisteva in una coppia di missili Nord AA.20 e in 34 razzi antiaerei poi portati a 40.Costruito in due esemplari per rispondere alla specifica dell’Armee de l’Air per un intercettore che potesse fronteggiare qualunque minaccia venisse dal cielo e designato alla fine Leduc 022, si trattava di una macchina basata su una formula decisamente inconsueta e con traguardi di prestazioni piuttosto ambiziosi, che in parte furono raggiunti nel dicembre 1957 quando l’aereo tocco’ Mach 1.15. Dopodiche’ l’aereo risulto’ danneggiato in un flame out al decollo e ci si accinse alla costruzione del secondo prototipo, che tuttavia non avvenne mai in quanto il progetto dovette essere cancellato : la guerra algerina in corso stava divorando rapidamente i budget militari e si opto’ per il più convenzionale Mirage.Dopo 141 voli sperimentali, del Leduc 022 resto’ solo un progetto interessante nell’intento di realizzare un intercettore supersonico. Un esemplare resta da apprezzare per i visitatori del Musee de l’Air et de l’Espace del Bourget. https://youtu.be/Zx-59ivXI9I?si=KsjFjiX4v1mKvTmC

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