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Le squadre Emercom per il recupero degli astronauti

Le squadre Emercom per il recupero degli astronauti Uno degli elicotteri Mil Mi-8MTV (Mi-171 sul mercato commerciale), impiegati in Russia dalle forze armate e dal Ministero per le emergenze (protezione civile). La Russia, da quando hanno avuto inizio le operazioni belliche lungo i suoi confini occidentali, ha dedicato scarsa attenzione alle attività spaziali anche se, fino a quando l’Occidente non ha applicato una politica di sanzioni, vi sono stati ancora contatti tra astronauti dei paesi occidentali e “cosmonauti” della Federazione Russa. Spesso ci si dimentica che gli Space Shuttle della NASA e quelli della sua controparte moscovita hanno avuto una vita relativamente breve e, anzi, le Buran sovietiche non sono neppure arrivate allo stadio operativo. Quindi, l’attività di traghetto dalla ISS (International Space Station) alla terra e viceversa si è svolta mediante capsule spaziali parzialmente pilotabili russe, le Energia (Korolev) Soyuz (unione) nelle versioni TMA-M ed MS. Questi veicoli spaziali sono stati impiegati  a lungo dalla RKA russa, dall’ESA e dalla NASA. Le capsule Soyuz abitualmente rientravano nel territorio del Kazakistan, non lontano dal Kosmodrom Baikonur, presso la località di Tyuratam, circa 200 km a est del lago Aral. Si tratta di lande desolate dove in passato è accaduto che il recupero dei cosmonauti rientrati sulla terra avesse richiesto più tempo del previsto. In Russia l’Emercom, cioè il ministero delle situazioni d’emergenza (Ministerstvo po delam grazhdanskoy oborony – anche se la denominazione completa è più lunga), in pratica l’equivalente della nostra Protezione Civile, in collaborazione con il ministero della difesa e con la Guardia Nazionale, ha predisposto uno specifico dispositivo d’intervento. Questo avviene, ovviamente, con l’impiego di elicotteri ed aeroplani ad ala fissa, solitamente dei tipi Mil Mi-8MTV (Hip-H) e Antonov An-26 (Curl), aeromobili largamente impiegati per compiti militari, istituzionali e civili. Le immagini che corredano questa pagina si riferiscono ad un’esercitazione, svolta negli anni scorsi a est degli Urali, nell’area di Chelyabinsk, con il coinvolgimento dell’Unità di soccorso aeromobile statale centrale che ha il proprio comando a Mosca-Zhukovsky, ed ha visto in azione circa 100 addetti, portati sul luogo del recupero con un aereo da trasporto tattico Antonov An-26 (Curl) ed un elicottero medio Mi-8MTV (Hip-H), più una colonna mobile a terra con almeno cinque veicoli anfibi. Dal 2012 la funzione di trasporto di materiale ed equipaggi da e per la stazione spaziale internazionale è avvenuta anche mediante le capsule Space X che dall’agosto 2022, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, sono state impiegate stabilmente in questo compito. Una prova di carico con una capsula Soyuz issata mediante un sistema appositamente progettato su un autocarro anfibio ZIL-4906. L’autocarro anfibio 6×6 ZIL-4906 nella configurazione per il recupero delle capsule Soyuz. Buona parte del personale destinato all’operazione di recupero di capsula ed equipaggio arriva sull’area dell’intervento con un bimotore Antonov An-26.

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Fw 190 a stelle e strisce

Fw 190 a stelle e strisce Dal punto di vista operativo e di conseguenza anche da quello bibliografico, il Focke-Wulf Fw 190 Würger (averla, un uccellino particolarmente combattivo) non ha raggiunto la fama avuta dal Messerschmitt Bf 109, divenuto il simbolo stesso della caccia nella Luftwaffe. Si trattava, invece, di un aeroplano molto interessante, dalle prestazioni elevate e di concezione particolarmente avanzata. Oltre alla Germania, ne fecero impiego operativo, in alcuni casi estremamente limitato, anche le forze armate di Cecoslovacchia, Francia, Spagna, Turchia, Ungheria e Unione Sovietica. Forze aeree di altri stati ebbero modo di valutare il Focke-Wulf Fw 190 per presentazioni da parte del costruttore, perchè ne avevano acquistato degli esemplari o ne erano venuti in possesso sotto forma di prede di guerra: Giappone, Gran Bretagna, Italia, Iugoslavia, Polonia, Romania, Stati Uniti  e Svezia. Vogliamo soffermarci sugli Stati Uniti, poiché i loro esemplari di Fw 190, anche per evidenti ragioni di propaganda, furono ampiamente pubblicizzati; tra l’altro, ne furono impressionati anche gli ambienti industriali e, in particolare, il Grumman F8F Bearcat nacque da un progetto che derivava, almeno per alcuni aspetti, da questa impressione. I primi Fw 190 furono ottenuti dalle forze armate americane in zona d’operazioni e poterono svolgere le prime valutazioni in Africa Settentrionale. Era stato istituito un Fighter Training Center a Costantina, in Algeria, affidato all’85th Fighter Squadron (Flying Skulls), inquadrato nel 79 th Fighter Group della 12th Air Force e quest’unità ebbe modo di provare in volo e confrontare con i caccia americani tre Fw 190. La famiglia dei Focke-Wulf Fw 190 ed Fw 190D/Ta 152 si componeva di due gruppi di versioni/sottoversioni che gli aviatori tedeschi raggruppavano in “kurze Nase” e “lange Nase” (muso corto e muso lungo) ma per arrivare alle differenze di denominazione degli esemplari in oggetto vi erano non poche difficoltà, anche perché, per anni, le fonti ufficiali non prestavano attenzione a questi aspetti e, per farla breve, era estremamente difficile distinguere un Fw 190A da un Fw 190F o Fw 190G… Questi aerei, peraltro, non erano stati effettivamente catturati in Africa bensì nel luglio 1943 dalle truppe americane sbarcate in Sicilia, mentre si trovavano su un treno merci. Si parlò di un A-4 ed un A-4/Trop ma sembra di poter arrivare alla conclusione che si trattasse di tre macchine: il Werk-Nummer (numero di costruzione) 16057, variamente identificato come A-5/U3, A-5/Trop, G-2 o G-3; il W-Nr 181550 (senza ulteriori dettagli); un terzo esemplare, possibile A-4, non associabile con certezza ad altre informazioni; tutti questi aerei erano appartenuti al II. Gruppe o al III. Gruppe dello SKG 10 (Schnellkampfgeschwader 10), ed erano schierati sul sistema aeroportuale di Gerbini, nella piana di Catania. Gli aerei furono trasferiti via mare in Africa Settentrionale, dove ricevettero le insegne americane e poterono essere impiegati anche in finti combattimenti per perfezionare l’addestramento dei piloti da caccia. Uno di questi aerei (che in almeno una foto ufficiale è citato come Fw 190A-5 W-Nr 6005 ma potrebbe essere lo stesso 160057)) fu certamente trasferito negli Stati Uniti per un’analisi più approfondita; preso in carico dalla Technical Air Intelligence Unit, ricevette l’immatricolazione FE-116 (Foreign Equipment 116) sulla NAS Anacostia e poi fu spostato sulla NAS Patuxent River. Con il proseguire delle operazioni, in particolare dopo lo sbarco in Normandia, furono catturati ulteriori esemplari, ma il maggior interesse era ormai rivolto alle versioni più avanzate, con motore Jumo 213. Tra gli aerei di questa configurazione catturati (anche da truppe inglesi e successivamente forniti all’alleato), gli americani scelsero di portare in patria quattro Fw 190D; tra essi vi erano un FE-118, che era il Fw 190D-13/R13 W-Nr 836017, un FE-119, Fw 190D-9 W-Nr 210016, un FE-120, l’Fw 190D-9 W-Nr 601088, ed un FE-121, l’Fw 190D-9 W-Nr 401392. Dagli inglesi, che lo avevano rinvenuto a Tirstrup, in Danimarca,  le USAAF ricevettero uno dei pochi Ta 152H-0 operativi nell’aprile 1945, del quale non è stato individuato con certezza il Werknummer, ma si sa che era uscito di fabbrica a Sorau nel 1945; fu trasferito via mare negli Stati Uniti, ove gli fu assegnato il codice FE-112. Non risulta, invece, che sia mai arrivato in America il Ta 152H-1, W-Nr 150167, del quale l’US Army si impadronì presso lo stablimento di Erfurt delle Mitteldeutsche Metallwerke. Questi esemplari, peraltro, non ricevettero le vistose colorazioni che erano state applicate ai “musi corti” e perciò, ai fini di questa descrizione, risulterebbero meno interessanti.

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La strana vicenda di Red Shamblin

La strana vicenda di Red Shamblin Anche nelle culture moderne si incontra il mito di Davide e Golia, cioè del personaggio coraggioso che sfida un avversario molto più grande e potente oppure che da solo affronta e sconfigge una moltitudine di nemici. Questo mito è stato più volte accomunato alla vicenda dell’America Volunteer Group formato da aviatori americani che andarono a combattere a fianco dei cinesi e contro i giapponesi prima che Washington entrasse ufficialmente in guerra il 7 dicembre 1941. I volontari dell’AVG giunsero a Rangoon, in Birmania, il 28 luglio 1941 ma il loro addestramento, l’organizzazione dei reparti e la consegna dei Tomahawk IIB andarono così in lungo che, in pratica,  entrarono in azione quando già gli Stati Uniti erano in guerra. All’inizio del luglio 1942 lo scopo dell’AVG si era esaurito e l’US Army ne inserì parte del personale nel 23rd Fighter Group, equipaggiato con i caccia P-40E. Ai piloti di maggiore esperienza fu lasciata la possibilità di compiere un ulteriore ciclo di due settimane, con la qualifica di istruttori civili e possibilità di partecipare a missioni di “difesa degli aeroporti”. Come spesso avviene in guerra, non si andò molto per il sottile e i comandanti locali fecero notare come l’aeroporto potesse essere difeso anche attaccando i campi e i comandi dai quali operavano i giapponesi… Tra questi “volontari per 15 giorni” vi era anche Arnold (Red) Shamblin (1918-1942), arruolatosi nell’’AVG ed assegnato al 2nd Squadron. Le 30 settimane del suo contratto trascorsero senza che avesse potuto conseguire la distruzione di alcun aereo nemico; forse per questo chiese le due settimane di “rafferma”, prima di tornare negli Stati Uniti. Nel luglio del 1942 l’aviazione giapponese colpiva duramente ed il 10 luglio Red Shamblin fu inviato, in “missione difensiva”, ad attaccare il comando giapponese di Lin Chaun (oggi Linchwan) e i battelli fluviali ormeggiati presso Nanchang. Alla missione prendevano parte quattro P-40E, il cui leader era John (Pete) Petach, altro veterano dello stesso reparto. I Warhawk si lanciarono sul primo obiettivo che fu centrato da Petach ma durante la richiamata, il suo aereo fu colpito da una raffica da 20 mm e incendiato. Si schiantò al suolo e tutte le testimonianze concordarono nell’affermare che Pelach, probabilmente ucciso dai proiettili, era rimasto dentro l’abitacolo. Molto più controversa, invece, è la sorte di Arnold che nella formazione era l’ultimo gregario destro. A proposito della missione del 10 luglio 1942, il rapporto mensile del 23rd FG diceva: “…il Signor Petach ed il Signor Shamblin (notare l’assenza di gradi militari, dato che i piloti formalmente erano istruttori civili) sono stati abbattuti, il primo ucciso ed il secondo catturato dopo essersi lanciato…”. Anche la radio giapponese diede notizia della missione, indicando la data erronea del 9 luglio ma riportandone lo svolgimento allo stesso modo; quindi si aveva una conferma indiretta della cattura di Red Shamblin. In realtà, sembra che dopo l’attacco al comando giapponese nessuno lo avesse mai più visto vivo e le commissioni giapponesi, cinesi e americane sui prigionieri di guerra non ne trovarono mai traccia. Quando si parla di Shamblin non si può non rilevare il disinteresse dell’US Army nel cercare informazioni sulla sua prigionia e sull’eventuale morte e, quindi, localizzarne la salma. Altrettanto insolito è il fatto che i giapponesi abbiano parlato della sua cattura, riferita anche da un missionario, Paul Frillman, che aveva sentito dire che era tenuto prigioniero ad Hanoi. Dello stesso parere era il Commissariato dell’US Army che avvisò i parenti che Red era “…vivo e indenne ma in mani giapponesi”. Il fratello Leonard, anch’egli pilota, fece alcune indagini e ricevette una lettera da parte di Bus Loane, un’altra “tigre”, in cui si leggeva, tra l’altro, che il pilota dell’aereo N.3 nella formazione vide che, dopo la richiamata e la virata successive all’attacco, il quarto P-40 lo seguiva regolarmente. La contraerea doveva averlo colpito durante la fase di allontanamento… Anche Loane aveva sentito dal personale cinese presente nel campo del 23rd FG che secondo la radio delle forze d’occupazione il pilota di uno dei due aerei abbattuti si era lanciato con il paracadute, era stato catturato ed era stato portato in una prigione di Shanghai. Sta di fatto che nessuno ne seppe mai più nulla, anche se un credibile indizio della tragica verità è venuto da un cinese della locale missione cattolica che all’epoca svolgeva il ruolo di attendente presso il comando giapponese. Egli assistette all’attacco e all’abbattimento di un P-40, il cui pilota, morto, era rimasto nell’abitacolo. Poi, in una lancia ormeggiata nel fiume, a circa 50 m dal luogo dove era precipitato l’aereo, vide il cadavere di un occidentale, alto, magro e con i capelli “gialli”, una descrizione applicabile a Red. Un militare giapponese guardò il corpo, vide che apparteneva ad un morto, e lo spinse nel fiume. E’ molto probabile, quindi, che questo fatto spieghi la scomparsa totale di Shamblin, ma come mai la radio giapponese lo aveva descritto quale prigioniero? Le risposte non possono che essere delle ipotesi: possiamo ritenere che, dopo il passaggio a fuoco, anche il P-40 di Shamblin avesse ricevuto qualche colpo. Probabilmente i danni erano stati gravi o lo stesso Red era stato ferito, tanto da non avere altra possibilità che abbandonare l’aereo. I giapponesi della guarnigione videro il paracadute o furono informati da testimoni locali e perciò il primo rapporto sull’attacco, quello alla base dei comunicati radio, parlò di pilota salvo (e la prigionia a Shanghai o ad Hanoi probabilmente erano soltanto supposizioni). Appare possibile che Shamblin fosse arrivato a terra morto o gravemente ferito oppure che fosse stato ucciso da soldati nemici. Quindi, un caso complesso solo in apparenza che, comunque, ha una sua parte in quell’epopea che continua a riempire pagine e pagine: la storia delle “Tigri di Chennault”.

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